Memorie-2018

 

 

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DA ROMA ALLA TERZA ROMA

XXXVI SEMINARIO INTERNAZIONALE DI STUDI STORICI

Campidoglio, 21-22 aprile 2016

 

 

BONIFAZI - CopiaCRISCICorrado Bonifazi

Massimiliano Crisci

IRPPS-CNR

 

LE MIGRAZIONI NELLA STORIA DI ROMA CAPITALE

 

 

Nella storia di Roma le migrazioni hanno sempre avuto un ruolo centrale, sia in età antica, quando le fonti storiche presentavano la città come la più cosmopolita del tempo, che all’epoca dei Papi, basti pensare ai persistenti pellegrinaggi di cui fu meta anche nei momenti più critici dell’alto medioevo (Sanfilippo 2006; Amata 2015). Le dettagliate informazioni statistiche ricavabili dalle collezioni di Listae status animarum Almae Urbis Romae lo vanno a confermare rivelando che Roma tra il 1600 e il 1870 visse un lento e discontinuo incremento dai 100mila ai 200mila abitanti dovuto quasi esclusivamente al saldo positivo dei flussi migratori (Sonnino 1998). D’altro lato, la struttura demografica della città non contribuiva ad una dinamica naturale positiva, se si pensa che agli inizi del Seicento si avevano 180 uomini per ogni 100 donne, per le specificità socioeconomiche e politiche della città che attraeva flussi di immigrazione con una predominanza del genere maschile (Sonnino 1998).

Nel decennio 1861-1870, con la proclamazione del Regno d’Italia e la riduzione dei territori governati dello Stato della Chiesa, la città vive una prima accelerazione nella crescita demografica, alimentata soprattutto dall’immigrazione proveniente dalle ex province dello Stato Pontificio, ma legata anche all’arrivo dei profughi politici borbonici, al seguito della corte napoletana in esilio, che non avevano accettato il nuovo assetto politico della penisola (Vidotto 2006).

Dopo il 1870 Roma vive una trasformazione del tutto peculiare, passando dallo status di capitale di uno stato ecclesiastico a quello di capitale di uno stato laico e mantenendo il ruolo di centro di una delle principali istituzioni religiose del mondo. All’epoca è la quinta città italiana per numero di residenti ed è contenuta all’interno delle antiche Mura aureliane, trovandosi immersa nell’ampio “deserto urbano” dell’Agro romano, a decine di chilometri dai piccoli centri rurali più vicini. All’indomani della breccia di Porta Pia, la città inizia una crescita demografica sostenuta e ininterrotta, che la porterà nell’arco di un secolo a moltiplicare per tredici la sua popolazione, dai 213mila residenti del 1871, ai 2 milioni 751mila del 1971.

Durante il suo primo decennio da capitale d’Italia, Roma cresce di oltre 50mila residenti al ritmo del 2,5% annuo e quasi il 90% di tale incremento è dovuto al movimento migratorio. L’esigenza di adeguare la struttura urbanistica della “città eterna” alla sua nuova funzione di capitale attrae numerosi investitori dal resto d’Italia (piemontesi, toscani, veneti) e dall’estero (belgi, francesi, tedeschi) che avranno un ruolo importante nell’intenso sviluppo edilizio postunitario, favorendo anche l’afflusso di ex braccianti da inserire come manodopera nel settore delle costruzioni (Insolera 1993). In questa prima fase, gli ingressi provengono soprattutto dai vicini comuni del Lazio, mentre, su un raggio più ampio, si ha una preminenza delle migrazioni dalle regioni del Nord rispetto al Sud, con molti dei nuovi arrivati che vanno ad alimentare le fila dei vari livelli della pubblica amministrazione del nuovo stato (Seronde Babonaux 1983). Roma si avvia così a divenire una città moderna senza essere una città industriale, per l’assenza di un ampio mercato di riferimento nella regione circostante, ma soprattutto per la volontà politica dei vari governi di evitare una forte concentrazione operaia nella Capitale. Senza contare che le notevoli remunerazioni garantite dall’edilizia e dalle attività speculative sui terreni contribuiranno a limitare gli investimenti industriali e a drenare buona parte dei capitali disponibili (Caracciolo 1974).

Nel nuovo Regno d’Italia il modello migratorio si caratterizza soprattutto per le emigrazioni verso l’estero e per le migrazioni interne dalle campagne alle aree urbane (Bonifazi 2013), mentre per oltre un secolo le immigrazioni internazionali avranno un ruolo marginale (Bonifazi, Crisci 2014). Anche la nuova Roma italiana non brilla per la presenza straniera. D’altro lato, con la fine dello Stato Pontificio la capacità attrattiva rappresentata dalle committenze delle corti ecclesiastiche aveva avuto un duro contraccolpo (Sanfilippo 2007). Inoltre, dal XVII secolo Roma era un’apprezzata tappa del Grand Tour, in quanto città-museo dove lo scorrere del tempo sembrava essersi fermato, e molte furono le critiche degli intellettuali stranieri di passaggio alla fine dell’Ottocento per le trasformazioni sociali e urbanistiche che a loro modo di vedere andavano a togliere unicità ed esotismo ad una città nella quale avevano a lungo convissuto la fastosa metropoli cattolica, meta continua di pellegrini e visitatori, e il grande centro rurale, dove si poteva ancora morire di malaria (Negro 2015).

Nonostante gli scarsi flussi dall’estero, i primi effetti delle immigrazioni interne si vedono ben presto anche nella crescita della percentuale degli attivi sul totale dei residenti che passa dal 55% del 1871 al 63% del 1881 (Morelli 1991) e gli immigrati continueranno a rappresentare un elemento di crescita demografica fino alla fine degli anni ‘80 dell’Ottocento, quando il crollo della produzione edilizia, alimentatasi soprattutto su base speculativa (Insolera 1993), innesca una profonda crisi economica e la chiusura della maggior parte dei cantieri. Si verifica una forte contrazione delle immigrazioni, molti operai sono costretti a tornare nelle terre di origine e si hanno anche delle espulsioni per motivi di ordine pubblico (Vidotto 2006).

Malgrado il forte impatto legato alla fine della “febbre edilizia”, durante gli ultimi due decenni del XIX secolo Roma supera i 400mila residenti guadagnando oltre 140mila abitanti, per quasi i tre quarti grazie al saldo migratorio. La maggior parte degli immigrati, oltre il 60% nel biennio 1885-86, si insedia nei nuovi quartieri intra moenia costruiti tra Porta Pia e San Giovanni in Laterano (Seronde Babonaux 1983).

All’inizio del XX secolo l’apporto demografico fornito dalle immigrazioni appare quindi notevole, risulta nato a Roma il 46% della popolazione, il 13% è originario di un altro comune della provincia e ben il 41% proviene da altre aree, evidenziando l’incidenza più alta di popolazione con origini extra-provinciali fra le grandi città italiane dell’epoca (Mortara 1908, citato in Del Panta 1984).

Nel primo ventennio del XX secolo la popolazione di Roma cresce di oltre 250mila unità (+2,4% annuo) e il contributo delle migrazioni a tale incremento è vicino all’80%. Gli immigrati vanno a vivere sempre più spesso nei nuovi quartieri fuori dalle Mura aureliane e il disagio abitativo per molti dei nuovi abitanti della città si fa sempre più forte. La crescente immigrazione è infatti legata più alla miseria delle campagne duramente colpite dalla crisi agraria che alla presenza di posti di lavoro nella Capitale. Per coloro che non hanno un lavoro costante e sicuro si infittiscono i baraccamenti intorno al centro cittadino (Insolera 1993), ma non sono semplici le condizioni abitative neanche nei quartieri popolari come Testaccio dove le abitazioni sono fortemente sovraffollate, le condizioni igieniche assai precarie e la mortalità infantile elevatissima (Orano 1912, citato in Vidotto 2006).

Dopo la prima guerra mondiale diminuisce l’apporto migratorio di alcune regioni settentrionali, come il Piemonte e l’Emilia-Romagna, anche a seguito del consolidamento del loro sviluppo industriale, mentre aumenta la presenza dei veneti che soprattutto negli anni ‘30 daranno un grande contributo anche alla bonifica dell’Agro pontino. Con il miglioramento dei mezzi di trasporto si attenua l’isolamento delle regioni del Sud e delle Isole. Ne giovano le immigrazioni meridionali che mostrano una costante crescita tra la fine del XIX secolo e gli anni ‘30, in modo particolare dalla Puglia e dalla Sicilia (Seronde Babonaux 1983).

La crescita della popolazione è particolarmente rapida negli anni ’20 e nella prima metà degli anni ’30 (rispettivamente +3,4% e +4,2% di incremento medio annuo) e anche sulla spinta della retorica fascista sulla “grande Roma” viene superato il milione di abitanti. Il movimento migratorio contribuisce al 75% della crescita di quasi mezzo milione di residenti che avviene in questa fase. Un flusso imponente che aggrava ulteriormente il problema casa, gestito dal regime eliminando molti dei cosiddetti “villaggi abissini”, abitati da ex contadini e sottoproletari, posti negli interstizi e ai margini della città ufficiale, redistribuendo la popolazione di estrazione popolare nell’estrema periferia delle borgate ufficiali, come Acilia, San Basilio e Gordiani, e tollerando intorno ad esse lo sviluppo di borgate abusive (Sonnino 1976; Insolera 1993). I nuclei di baracche distanti dalla città consolidata e dai confini del piano regolatore rappresentano utili valvole di sfogo rispetto alla questione abitativa e andranno ad accogliere soprattutto i nuovi immigrati disoccupati o privi di un’occupazione stabile (Clementi, Perego 1983).

Tra i due censimenti del 1936 e del 1951 Roma guadagna un altro mezzo milione di residenti arrivando a 1 milione 633mila abitanti. I flussi migratori si mantengono consistenti, ma rispetto al precedente intervallo intercensuario aumenta il peso della dinamica naturale sulla crescita demografica, che passa dal 25% al 36%. Dopo il secondo conflitto mondiale Roma attira numerosi sfollati di ritorno dalle campagne o attratti dalle opportunità offerte dalla Capitale, oltre a profughi italiani dall’Istria e dalla Dalmazia ed esuli stranieri che cercano assistenza presso la Santa Sede che aveva predisposto la Pontificia Commissione di Assistenza presso il governo italiano, la Croce Rossa e l’UNNRA (Sanfilippo 2007). Le stime sui profughi giunti a Roma in questa fase postbellica che durerà almeno fino al 1956 variano tra le 300mila e le 600mila unità (Sanfilippo 2007). Le disposizioni contro l’urbanesimo del regime fascista, in particolare la normativa del 1939, che legano l’iscrizione al collocamento al requisito della residenza e richiedono un lavoro stabile o adeguati mezzi di sussistenza ai neoresidenti, costringeranno molti degli immigrati non qualificati che decideranno di stabilirsi nella Capitale a permanere per lungo tempo in una condizione di sottoccupazione e di emarginazione (Clementi, Perego 1983).

Dopo il rallentamento imposto dal conflitto, dalla crisi economica mondiale e dalla politica anti-emigratoria del fascismo, l’Italia del secondo dopoguerra vive una ripresa dell'emigrazione verso l'estero. All’inizio degli anni ‘50 si ha inoltre il rapido sviluppo di poli di attrazione interni al paese che per la prima volta arrivarono a rappresentare una valida alternativa agli spostamenti oltre confine. E’ così che negli anni del miracolo economico tutto il paese è percorso da migrazioni di breve, medio e lungo raggio, con prevalenza degli spostamenti dal Sud al Centro-Nord e dal Nord-Est al Nord-Ovest, che producono una forte crescita demografica nelle grandi città (Golini 1978; Bonifazi 2013).

Roma negli anni ’50 e ’60 sperimenta una vera e propria esplosione demografica, che accrescerà la popolazione di oltre 1 milione e 100mila residenti nell’arco di un ventennio, portandola a 2 milioni 751mila residenti all’inizio degli anni ‘70. L’impulso principale a tale incremento è fornito ancora dai flussi migratori, tuttavia il boom delle nascite, che tocca il suo picco nella metà degli anni ’60, riduce al 58% il loro peso sulla crescita complessiva dei residenti (Sonnino 1965). Gli immigrati ora provengono soprattutto dal resto del Lazio e dal Sud Italia, con questi ultimi in forte aumento rispetto alla prima metà del secolo. Rispetto a quanto accade nelle metropoli del Nord, dove sono le fabbriche ad attrarre manodopera immigrata, nella Capitale i settori produttivi trainanti sono il terziario impiegatizio e le attività legate alle costruzioni, che spesso non consentono un’occupazione stabile (Clementi, Perego 1983). L’insediamento degli immigrati avviene per lo più “a macchia d’olio”, in modo disordinato e poco “sostenibile” dal punto di vista sociale. Roma continua a crescere sviluppandosi lungo le vie consolari con nuove inurbazioni sempre più distanti dal nucleo storico della città. Un’evoluzione urbanistica dominata dagli interessi dei costruttori e della rendita immobiliare favorisce il mancato incontro tra domanda e offerta di appartamenti e il proliferare di baracche e di abitazioni autocostruite nelle aree interstiziali del centro e nelle periferie (Insolera 1993; Benevolo 1993), dove migliaia di persone si trovano a vivere in condizioni assai critiche (Ferrarotti 1970; Berlinguer, Della Seta 1976). Sarà solo dalla seconda metà degli anni ’70 che le prime amministrazioni comunali di sinistra affronteranno la costante emergenza abitativa in modo organico, con l’eliminazione dei borghetti, la ristrutturazione delle borgate e la costruzione di edilizia residenziale pubblica.

          Negli anni ‘70 entra in crisi il modello di sviluppo fordista, basato sulla grande fabbrica e sulla crescita dei maggiori centri urbani, e si avvia un importante processo di trasformazione della struttura produttiva del paese, basato su sistemi produttivi specializzati formati da piccole e medie imprese, organizzate in distretti industriali. Ciò conduce ad una forte contrazione delle migrazioni interregionali dal Sud al Centro Nord e ad una più equilibrata distribuzione sul territorio delle attività produttive. Nelle grandi aree metropolitane i quartieri centrali perdono abitanti a favore di quelli periferici e dei centri urbani della corona. Le motivazioni dei trasferimenti metropolitani non sono più strettamente economiche ma più articolate, legate alle scelte residenziali degli individui, al formarsi e allo sciogliersi delle famiglie e in genere alle diverse esigenze e bisogni che caratterizzano le varie fasi della vita (Bonifazi 2011).

Nella Roma di fine anni ’60 l’impetuosa crescita demografica vissuta fino ad allora rallenta e poi si arresta, in primo luogo per il ridimensionamento dei saldi migratori, dovuto sia alla diminuzione degli arrivi da altre province italiane che all’aumento delle partenze, legate ai ritorni nelle aree di origine e ai trasferimenti dei romani nei comuni dell’hinterland. Un fenomeno di diffusione residenziale dal centro alla periferia della città che era in atto da decenni, evidenziato anche dal graduale spopolamento dei rioni e dalla loro terziarizzazione (Sonnino 1965, Crisci 2014), e che va a “debordare” dai confini comunali anche sulla spinta di un esteso abusivismo edilizio (Olivieri 1983). Il crollo del saldo migratorio è talmente intenso che il contenuto incremento dei residenti degli anni ’70, pari ad appena 52mila unità, si deve per il 95% al saldo positivo tra nascite e decessi. Un prevalere della natalità sulla migratorietà con pochi precedenti nella storia recente di Roma che si ripropone negli anni ’80, allorché la dinamica naturale, ancora lievemente positiva malgrado la fine del baby boom, non riesce più a compensare un saldo migratorio sempre più deficitario e si ha un primo calo dei residenti pari a circa 70mila unità.

Negli anni ‘90 prende vigore un fenomeno inedito per Roma capitale d’Italia, ovvero l’afflusso consistente di immigrati provenienti da altri paesi del mondo. Gli ingressi dall’estero iniziano ad assumere un rilievo cospicuo e nel periodo 1991-2001 l’ammontare dei residenti stranieri raddoppia, passando da 50mila a 100mila unità. Si tratta di un’immigrazione assai eterogenea, composta da quasi duecento differenti collettività, e a differenza di quanto accadeva nel XIX secolo è forte la presenza delle donne, che va a incontrare la consistente domanda di lavoro di cura e assistenza proveniente dalle famiglie italiane e da una società sempre più invecchiata. Come è usuale nei nuovi paesi di immigrazione dell’Europa meridionale, il mercato del lavoro romano assorbe manodopera straniera soprattutto nei segmenti occupazionali meno ambiti, in particolare nelle professioni che solo di rado coinvolgono gli autoctoni in quanto poco qualificate e remunerate e scarsamente garantite (Sonnino 2006; Crisci 2010; Bonifazi 2013).

Dopo un ulteriore calo demografico negli anni ’90, negli anni Duemila il numero dei residenti a Roma riprende a crescere, raggiungendo il livello più elevato nella sua storia millenaria, 2 milioni 872mila abitanti a fine 2014, grazie all’incremento di 190mila residenti avvenuto negli ultimi 15 anni, legato al rallentamento dello sprawl urbano e soprattutto alle immigrazioni dall’estero (Crisci 2015). Oggi i cittadini stranieri che vivono a Roma sono oltre 350mila, pari al 12% della popolazione totale, una percentuale di quattro punti superiore alla media nazionale.

Le migrazioni internazionali costituiscono un importante fattore di mutamento oggi come in passato, ma a differenza di un tempo, quando Roma attraeva cittadini stranieri in virtù delle sue note specificità, le immigrazioni dei giorni nostri sembrano per lo più il frutto di processi che agiscono su scala mondiale e spingono masse di individui alla ricerca di migliori prospettive di vita nelle aree urbane italiane ed europee. E’ tuttavia innegabile l’esistenza di alcuni elementi che regalano ancora oggi un appeal peculiare alla “città eterna”. Da un lato il ruolo del Vaticano che traspare dal rilevante lavoro di assistenza agli immigrati svolto da parrocchie e associazioni cattoliche. Dall’altro, una sorta di “effetto Roma”, una città dal patrimonio culturale unico, che anche grazie al suo ruolo amministrativo e diplomatico e alle attività del terziario avanzato che ospita, può esercitare un fascino su un’immigrazione straniera non di pura sussistenza (Bonifazi, Crisci 2014).

Le migrazioni hanno dunque avuto un ruolo essenziale nello straordinario processo di evoluzione sociale, demografica, urbanistica ed economica che Roma ha conosciuto a partire dal 1870. Il rapporto della Capitale con i flussi migratori che l’attraversano è oggi qualcosa di completamente diverso e di straordinariamente più complesso rispetto a quello che era alla fine del XIX secolo. I confini della città si sono dilatati e si sono fatti più incerti, si è avviato un radicale mutamento nelle relazioni tra i luoghi geografici. Ai tradizionali e più diretti rapporti di dipendenza gerarchica tra centro e periferia si è affiancata e sovrapposta una fitta trama di legami tra realtà vicine e lontane che travalica spesso i confini amministrativi e statali. Una rete sempre più vasta di relazioni che ha nelle migrazioni internazionali una delle più evidenti manifestazioni e che verosimilmente continuerà a rappresentare un elemento nodale del cambiamento di Roma anche nei prossimi decenni.

 

Tabella - Componente migratoria e naturale nella variazione demografica del comune di Roma. Periodo 1871-2014. Valori assoluti in migliaia e percentuali.

Periodi 

Residenti a fine periodo

(in migliaia)

Variazione media annua

% variazione dovuta a:

v.a.

(in migliaia)

%

Movimento naturale

Movimento migratorio

1871-81

267,0

5,9

2,5

10,3

89,7

1881-1901

411,8

7,2

2,1

26,6

73,4

1901-11

522,7

11,1

2,4

23,1

76,9

1911-21

668,3

14,6

2,4

19,6

80,4

1921-31

930,7

26,2

3,3

25,5

74,5

1931-36

1.150,3

43,9

4,2

25,4

74,6

1936-51

1.633,8

32,2

2,3

35,6

64,4

1951-61

2.162,7

52,9

2,8

42,4

57,6

1961-71

2.751,4

58,9

2,4

41,8

58,2

1971-81

2.803,1

5,2

0,2

94,8

5,2

1981-91

2.734,5

-6,9

-0,3

saldo positivo

saldo negativo

1991-2001

2.685,8

-4,9

-0,2

saldo negativo

saldo negativo

2001-11

2.797,4

11,2

0,4

saldo negativo

saldo positivo

2011-14

2.872,0

7,5

0,3

saldo negativo

saldo positivo

 

Nota: a) i dati dal 1871 al 1991 sono di fonte censuaria; dal 2001 al 2014 sono riportati gli iscritti in anagrafe a fine anno ricostruiti a partire dalla popolazione anagrafica a fine 2014 in base alle iscrizioni e alle cancellazioni per movimento naturale e migratorio avvenute negli anni precedenti; b) dal 1951 la popolazione del comune di Roma è al netto dei residenti nell’attuale comune di Fiumicino.

Fonte: ns. elaborazione su dati Istat e anagrafici dell'Ufficio statistico del Comune di Roma.

 

 

Riferimenti bibliografici

 

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[Un evento culturale, in quanto ampiamente pubblicizzato in precedenza, rende impossibile qualsiasi valutazione veramente anonima dei contributi ivi presentati. Per questa ragione, gli scritti di questa parte della sezione “Memorie” sono stati valutati “in chiaro” dal Comitato promotore del XXXVI Seminario internazionale di studi storici “Da Roma alla Terza Roma” (organizzato dall’Unità di ricerca ‘Giorgio La Pira’ del CNR e dall’Istituto di Storia Russa dell’Accademia delle Scienze di Russia, con la collaborazione della ‘Sapienza’ Università di Roma, sul tema: MIGRAZIONI, IMPERO E CITTÀ DA ROMA A COSTANTINOPOLI A MOSCA) e dalla direzione di Diritto @ Storia]